La trappola dei DPCM e la sindrome del topo

La Great Barrington Declaration è una dichiarazione firmata da 9.824 scienziati di medicina epidemiologica e di salute pubblica e da 26.202 medici specialisti.

Secondo questi 36.026 scienziati e medici provenienti da università quali Harvard, Stanford, Princeton e tra i quali c’è anche un premio Nobel, le attuali politiche restrittive messe in atto dai governi per fronteggiare il Covid 19 stanno producendo risultati devastanti sulla salute pubblica, fisica e mentale, sia sul breve che sul lungo periodo.

Le scelte messe in atto ad esempio dal governo italiano dell’obbligo di indossare la mascherina anche all’aperto, o in Francia di farla indossare alle partorienti, così come il divieto di assembramento, sono misure non solo sproporzionate ma completamente folli.

E allora, se il buonsenso e la scienza medica epidemiologica ci dicono che queste misure sono controproducenti, non solo riguardo il modo in cui si affronta un virus ma perché costituiscono una minaccia seria per la nostra salute, per quale motivo la gran parte della popolazione civile aderisce di buon grado a queste misure terroristiche adottate dai nostri governi?

E perché alcuni di loro sono addirittura diventati dei fanatici sostenitori delle misure restrittive e del lockdown? La risposta è che si tratta di persone affette da una particolare condizione conosciuta come “Sindrome del topo”.

La sindrome del topo è così definita perché il soggetto che ne è colpito è assimilabile nel comportamento ad un ratto.

I topi sono animali paurosi e schivi, vivono nelle fogne e detestano la luce naturale, si muovono al buio e sempre in gruppo. Vedremo come questi elementi comportamentali sono perfettamente coincidenti con quelli dei soggetti entusiasti delle misure restrittive.

Dal punto di vista della simbologia, il topo nelle diverse culture rappresenta la capacità di adattamento, la sopravvivenza, l’astuzia ma anche la malattia, la povertà, il degrado e l’ingiustizia.

Di solito sono le favelas delle grandi città brasiliane e i quartieri più poveri delle grandi città statunitensi come Chicago o Washington D.C. quelli più infestati dai ratti.

Dal punto di vista psicologico gli uomini topo versano in un permanente stato di sofferenza mentale, dovuta a depressione cronica, che sfocia poi in una situazione di impotenza: “Non ce la posso fare, la mia condizione è questa, sono fatto così, è un mondo crudele, devo solo imparare a conviverci, non posso farci niente, non ho speranza…”.

Molto spesso tali ragionamenti sono il frutto di una concezione strutturata e calcificata nella loro mente conosciuta come Learned Helplessness che in italiano è tradotto come impotenza appresa. L’impotenza appresa è stata scoperta da Martin Seligman e Steven F. Maier nel 1967.¹

Seligman e Maier, per simulare eventi di vita stressanti e incontrollabili, utilizzarono leggere scosse elettriche che applicarono ad animali come cani e ratti. Lo scopo degli esperimenti era quello di osservare se ci fossero differenze nei comportamenti in due gruppi di animali sottoposti a due diverse esperienze.

Un gruppo al quale non era stata data alcuna possibilità di evitare gli stimoli avversi, l’altro invece con tale possibilità. Nella fase sperimentale finale, a entrambi i gruppi di animali veniva data la possibilità di agire per evitare le scosse.

Il risultato conclusivo è stato che coloro che avevano già avuto la possibilità di evitare il dolore l’avevano colta immediatamente; coloro i quali invece nella prima condizione avevano imparato che nonostante i loro sforzi le stimolazioni dolorose sarebbero continuate, non mettevano in atto alcun comportamento di fuga o reazione, ma rimanevano impotenti a subire il dolore.

Gli stessi studi sono stati effettuati sugli esseri umani, sostituendo le scosse elettriche con un suono forte e fastidioso. L’effetto risultò esattamente lo stesso. A seguito di tali osservazioni, Seligman e colleghi proposero che nei partecipanti, i quali avevano sperimentato il fenomeno di impotenza, potevano essere individuati tre deficit specifici:

 

  • Cognitivo: i soggetti percepiscono le circostanze come incontrollabili (mancanza di controllo).
  • Emotivo: i soggetti sperimentano uno stato depressivo conseguente al fatto di trovarsi in una situazione negativa su cui non si può intervenire (mancanza di speranza).
  • Motivazionale: i soggetti non rispondono a potenziali metodi per sfuggire alla situazione negativa (mancanza di reazione).

 

La psicologa americana Kendra Cherry (2014), ha definito l’impotenza appresa come uno stato mentale in cui un essere vivente, dopo essere stato esposto a frequenti stimoli dolorosi e spiacevoli, diventa incapace o riluttante a evitare il successivo incontro con questi stessi stimoli, anche se sono evitabili.

Ciò accade perché il soggetto è convinto di avere appreso che, nonostante i suoi sforzi, non riesce a controllare la propria vita e per questo motivo si sente impotente. Se questa condizione di impotenza continua a verificarsi, il soggetto si convince che in quella particolare situazione o evento non c’è niente che possa fare, se non aspettarne l’esito negativo perché questo è ciò che il soggetto è convinto di avere appreso.

Helplessness sta dunque ad indicare una condizione di depressione cronica e di impotenza. In pratica il soggetto si convince che a scapito di tutto ciò che si possa fare, la situazione non cambierà mai. Non solo io non posso fare niente per evitare l’inevitabile ma nessun altro può farlo, il mio destino è segnato.

Learned (appresa) sta invece a significare che questa visione deprimente della vita non è un tratto innato ma che noi stessi l’abbiamo strutturata e reso automatico il nostro sistema di non reazione alle avversità della vita. È un comportamento appreso, condizionato da esperienze in cui il soggetto è convinto di non avere alcun controllo sulla direzione della propria vita. Quindi qualsiasi cambiamento a questa esperienza dolorosa è impossibile. 

L’apparato che gestisce l’emergenza del Covid 19 sfrutta la sindrome del topo, ovverosia la convinzione che il nostro stato di schiavitù sia ineluttabile, per diffondere così la falsa convinzione che questa emergenza sanitaria sia stata causata dalla sfortuna e che dobbiamo rinunciare alla nostra libertà e alla nostra vita e che altre sfortune dovranno arrivare perché questa è la condizione umana.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito all’applicazione di questo esperimento sostituendo alle scosse elettriche i Decreti del Presidente del Consiglio. Nei giorni precedenti la firma di questi decreti, la prima scossa è stata data dai media che hanno creato allarme paventando chiusure e lockdown.

Quando la presidenza del Consiglio alla presentazione del decreto ha optato per una politica più soft di quella prevista dai giornali, le nuove restrizioni sono state accolte con un sospiro di sollievo. E la popolazione ha abbracciato con entusiasmo il fatto che il Presidente del Consiglio, con questo decreto, ha di fatto sospeso il diritto di assemblea previsto dall’articolo 17 della Costituzione.

Ovviamente il presupposto fondamentale affinché la strategia dell’impotenza appresa funzioni è che i destinatari di questi provvedimenti considerino questa imposizione esterna come normale e senza metterla in discussione. Per potere condurre in porto una simile operazione senza rischio di opposizione è necessario che l’essere umano, al quale questa imposizione è destinata, sia un soggetto inconsapevole riguardo la condizione umana, cioè che non abbia consapevolezza della libertà come la naturale condizione dell’esistenza.

Il problema dell’essere umano sin dalla notte dei tempi è sempre stato quello dell’identità. L’uomo non sa chi è ed è per questo motivo che gli si può fare di tutto.Tu prendi un essere umano del pianeta terra nel 2020 e gli dici che deve avere paura del Covid e quello ha paura. Com’è possibile che accada questo?

Questo accade perché l’uomo che abita questo pianeta, ancora oggi ha bisogno della pubblicità per sapere come deve vestirsi, ha bisogno della televisione per sapere che cosa succede, ha bisogno di un “intellettuale” che gli dica cosa pensare e di un leader politico che lo guidi e gli dica cosa deve fare.

L’uomo sin dall’alba della nostra civiltà ha sempre delegato ad altri le proprie responsabilità ed è per questo motivo che nel corso della storia sono nate e cresciute le dittature e che ci troviamo oggi in questa situazione imbarazzante. Perciò, presupposto fondamentale del desiderio di libertà, è la consapevolezza riguardo la propria condizione naturale di libertà assoluta e totale.

Il sistema si approfitta di questo stato di inconsapevolezza ed utilizza l’impotenza appresa per confermare agli uomini topo non solo che la loro visione è giusta ma nel contempo, per indurre chi ancora non ha questa visione di ineluttabilità del proprio destino a convincersi che lo stato di schiavitù è inevitabile.

Perciò l’autorità costituita, in forza della capacità di poter imporre divieti al cittadino, avvia questo processo di impotenza appresa, imponendo ogni giorno nuove misure restrittive che, la maggioranza dei soggetti, inizierà a percepire e considerare come ineluttabili.

Sindrome del topo: scosse e DPCM

Come negli esperimenti di Seligman, i destinatari dei provvedimenti (le scosse elettriche) inizieranno a considerare come normali tutte le imposizioni: dall’indossare la mascherina, al coprifuoco, al farsi misurare la febbre per accedere ad un qualsiasi esercizio commerciale.

L’essere umano sta sperimentando una serie di limitazioni alla propria libertà senza metterne in discussione la necessità o il loro scopo. Senza nemmeno fermarsi a pensare che queste limitazioni non solo sono lesive della libertà e dannose per la nostra salute ma completamente inutili.

Il problema è che per mettere in discussione questo sistema di misure restrittive è necessaria la presenza di un’autonomia di pensiero e di uno spirito che sia libero dal conformismo imperante. E come si può pretendere autonomia di pensiero da una società fatta di uomini che hanno bisogno della televisione per sapere cosa pensare, cosa dire, come vestirsi e cosa fare?

Cambiare la percezione della propria condizione di sofferenza necessita un cambio di prospettiva. Tuttavia il cambiamento di prospettiva, oltre a presupporre una visione ottimistica, una fiducia in se stessi e nella vita stessa, presuppone la dote del coraggio che in latino cor-agio si traduce come “azione del cuore”.

Ma l’uomo topo ha rinunciato ad aprire il suo cuore, abbracciando la visione pessimistica dell’impotenza, ha scelto di nutrire solo il suo stato di sofferenza. Si crea così un circolo vizioso: L’impotenza appresa lo porta a vedere l’intero Universo come ingiusto e questa dispercezione alimenta il suo egoismo e la sua chiusura nei confronti degli altri.

Chi è affetto dalla sindrome del topo è di solito un individuo risentito, perché convinto di stare subendo un’ingiustizia. Perciò, se si vive in un tale stato mentale, qualsiasi altra emozione ci è preclusa perché si diventa schiavi di questa falsa rappresentazione e siccome il mondo è ingiusto con l’uomo topo, questi si sente autorizzato a pensare e ad agire in modo ingiusto nei confronti del mondo.

L’uomo topo sfrutta la rappresentazione mentale dell’ingiustizia per perpetuare non solo la propria condizione di schiavo ma anche per godere della sofferenza altrui. Quando l’uomo topo si confronta con chiunque non soffra della sua stessa condizione, vede la propria situazione come peggiore rispetto a quella altrui e quindi ingiusta.

Chi soffre della sindrome del topo è convinto che la sua condizione non possa mutare, perciò lo stato di benessere altrui diventa anche questo ingiusto ai suoi occhi. Allora per dare una spiegazione a questo stato di ineguaglianza, o se preferite di ingiustizia, egli attribuisce l’altrui condizione di benessere a cause esterne e a lui inaccessibili. Ad esempio la fortuna o altre qualità innate, interpretando l’altrui leggerezza e libertà mentale come menefreghismo o superficialità e ingenerando così in se stesso uno stato di malessere e di risentimento crescente nei confronti di chi vive una condizione di benessere e perciò ama la propria libertà.

L’uomo topo prova risentimento perché la sofferenza mentale in cui è costretto a vivere è percepita come condizione personale e solitaria e non è condivisibile per sua natura con nessun altro, perché è proprio il confronto con la situazione dell’altro che fa nascere il risentimento.

Quindi il primo elemento in comune tra queste persone e i topi di fogna è proprio l’habitat in cui entrambi vivono, che nel caso del topo sono le fogne mentre nell’uomo topo è la sua mente. La mente dell’uomo topo può essere paragonata ad una fogna perché, come in una fogna, i pensieri di questi individui nuotano nell’impotenza appresa, in cui amano crogiolarsi, preferendo provare risentimento e invidia per gli altri piuttosto che cambiare il loro stato mentale fognario.

Il secondo elemento che identifica questi soggetti, oltre al fatto di essere convinti di subire un’ingiustizia, è la Schadenfreude, un’espressione in lingua tedesca che può essere tradotta in italiano come “godere delle disgrazie altrui”

L’uomo topo è convinto di avere subito un’ingiustizia perché pensa di essere impossibilitato a cambiare la propria condizione, per via del destino, della sfortuna o di un dio che l’ha messo in questo cammino sventurato. In pratica la causa del proprio malessere non è attribuibile a se stesso ma a qualcun altro che non è lui. E maledice coloro che al contrario di lui stanno bene.

L’unica possibilità per l’uomo topo di alleviare questo suo stato di dolore è dato dal provare piacere quando l’altro, cioè un individuo da lui considerato come “fortunato”, si trova finalmente nella sua stessa condizione.

Il lockdown infatti è un po’ una metafora della topaia. Milioni di esseri umani sono stati costretti “come topi in gabbia” a rifugiarsi nelle loro tane. Perciò sono stati privati della loro normale condizione di libertà. Chi soffre della sindrome del topo invece, vive perennemente in uno stato di prigionia, perché considera il proprio stato di sofferenza mentale come immutabile.

Ecco dunque che la Schadenfreude dell’uomo topo, consiste nel provare godimento quando, con il lockdown imposto dal governo, l’uomo libero finalmente si trova nella sua stessa condizione, perché la sua libertà personale viene limitata addirittura dalla legge.

Questo per l’uomo topo costituisce il massimo del godimento, perché finalmente egli sperimenta quella “giustizia” che da sempre gli manca. Poiché, in quanto impotente di attuare il più piccolo cambiamento nella sua vita, nella sua mente e nella sua incapacità di provare emozioni, l’uomo topo trova finalmente una sensazione di “giustizia” nel vedere limitata la libertà altrui.

La giustizia vera è invece la meccanica sulla quale si basa la Coscienza

Coscienza e Giustizia sono concetti interdipendenti tra loro perché non può esserci l’una senza l’altra e sappiamo che Coscienza è anche sinonimo della vita stessa, perché senza Coscienza non può esserci vita.

L’ingiustizia che costituisce la visione del mondo dell’uomo topo è l’antitesi della vita, perché se si guarda all’universo come dinamica ingiusta, il significato stesso della vita viene meno, perché anche la vita sembrerà ingiusta e quindi brutta.

Il soggetto non apprezza più la vita, non la ama più e comincia a detestarla.

Gli uomini topo provano animosità, rancore, invidia e disprezzo per chi gode della propria esistenza. Perciò l’uomo topo detesta la vita ed è incapace di amarla perché non ama se stesso. L’uomo topo non può amare se stesso in quanto, auto-convintosi di essere destinato a soffrire, è arrivato al punto di amare quella sua condizione di schiavitù mentale e detestare qualunque forma di vita a partire dalla propria.

A questo riguardo l’habitat mentale del topo di fogna è caratterizzato da un altro elemento psicologico tipico di questa sindrome: la necrofilia. Lo abbiamo visto durante il lockdown quando la frase tipica degli uomini topo contro lo scetticismo umano era un refrain continuo:“andate negli ospedali, andate a parlare con gli infermieri”.

Un’altra frase tipica che l’uomo topo ha usato come bandiera durante il lockdown è: “vallo a dire ai parenti dei morti”. In quest’ultima frase la proiezione è simbolica perché, quando l’uomo topo si riferisce ai parenti dei morti, sta in realtà parlando dei propri parenti, i quali devono convivere con un morto che è lui stesso.

L’uomo topo è infatti un uomo che, essendo “morto dentro” ed essendo altresì convinto di non poter fare niente per cambiare questa sua condizione, cerca in tutti i modi di trascinare individui normali verso il suo stato necrotico.

L’uomo topo è morto nell’anima ma nonostante questo, egli è un devoto della sopravvivenza, perché è spaventato dalla morte. La morte lo spaventa perché, nel profondo del suo inconscio, è celata la consapevolezza che la sua vita si basi su un principio che non rispetta la giustizia e l’assenza di giustizia è assenza di coscienza e assenza di coscienza significa che non si è più vivi.

Durante l’emergenza sanitaria che abbiamo sperimentato negli ultimi mesi, l’uomo topo è stato superattivo nel rispettare i protocolli sanitari insensati imposti dal governo e nel farli rispettare anche agli altri, andando fiero di questa sua condotta di “guardiano dell’ordine necrotico.”

In pratica l’uomo topo con l’emergenza dovuta al Covid 19 ha subito una vera e propria rinascita, perché si è convinto che finalmente l’umanità intera, e non solo lui, fosse precipitata nell’abisso dell’incertezza e della paura che costituiscono il suo habitat naturale.

Finalmente quell’incubo quotidiano collettivo riusciva a dargli una sensazione di sollievo ma sopratutto di giustizia, perché portava nella sua vita una sensazione di uguaglianza con tutti gli altri esseri umani, i quali finalmente avrebbero potuto iniziare a provare lo stesso senso di terrore che gli uomini topo provano da sempre.

Sindrome del topo ed emergenza

In conclusione l’emergenza sanitaria del Covid 19, da marzo 2020 ha portato morte, malattia, restrizioni della libertà di movimento, annullamento delle relazioni sociali, distruzione della vita sociale, dei rapporti umani e minaccia alla condizione naturale dell’essere umano che è quella della libertà. Ma l’uomo consapevole ha risorse all’interno di sé infinite e avrà sfruttato questo periodo per lavorare ancora di più su stesso, per migliorarsi e continuerà ad impegnarsi per manifestare nel modo più chiaro possibile la sua contrarietà a questo tipo di restrizioni.

Invece per gli uomini topo l’emergenza sanitaria ha ripristinato una condizione di giustizia, perché finalmente anche gli altri hanno iniziato a soffrire a causa delle restrizioni imposte dal governo.

Uguaglianza finalmente! Per questo motivo per gli uomini topo, l’incubo collettivo del Covid 19 non solo deve durare il più a lungo possibile ma deve essere difeso con tutte le forze dalla comunità degli uomini topo, perché questo incubo rappresenta la loro rivalsa nei confronti di chi sta bene.

Se avessimo l’opportunità di esaminare più a fondo il profilo psicologico di questi “guardiani dell’ordine necrotico”, scopriremmo che si tratta di persone che hanno una storia personale disseminata di problemi, quali l’accettazione di se stessi, problemi di integrazione sociale e di abusi. Perciò questa situazione costituisce per loro un’opportunità unica di rivalsa nei confronti di questo mondo ingiusto che li ha costretti secondo loro a una vita di sofferenza.

Tuttavia la sensazione di uguaglianza che scaturisce dalla sofferenza collettiva è in realtà soltanto un palliativo, perché non si tratta di vera uguaglianza ma solo di un’illusione. Una volta terminata l’emergenza e le misure restrittive, gli uomini topo ritornerebbero nel loro stato mentale di sempre. Perciò quell’illusione che si fonda sulla paura non può finire, perché gli uomini topo si nutrono di paura come dei tossicodipendenti di eroina. Quindi sono pronti a tutto pur di difendere questo stato di terrore e la loro malattia cronica.

Questi individui costituiscono perciò la base del consenso di questo nuovo regime della paura. E quale migliore base di consenso può avere un regime del terrore che si basa su una montagna di menzogne, se non un collettivo di uomini topo che fanno dell’ingiustizia la loro stessa ragione di vita?

Ma la paura costituisce anche il loro limite, perché la loro visione del mondo, essendo basata su un principio di ingiustizia e quindi di incoscienza, li rende vulnerabili alla luce della Coscienza.

Per questo motivo è cruciale fare luce su questa trappola psicologica, affinché chi ne soffre ne diventi consapevole. Questo è un momento in cui tutti noi dobbiamo lavorare di più su noi stessi, cercando di comprendere che le avversità non sono una condizione ineluttabile ma anzi dovrebbero costituire il segnale che è il momento di attuare delle correzioni e cambiare la nostra vita.

[1] Maier, S. F., & Seligman, M. E. (1976). Learned helplessness: Theory and evidence. Journal of Experimental Psychology: General, 105(1), 3–46. https://doi.org/10.1037/0096-3445.105.1.3

 

 

 

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